Diritto e Storia in Kant e Hegel

Di Valerio Rocco Lonzano, Marco Sgarbi

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A cura di Valerio Rocco Lozano e Marco Sgarbi*

I rapporti tra storia e diritto nell’epoca tra la Rivoluzione francese e la (presunta e impossibile) Restaurazione dell’Ancien régime dopo la sconfitta napoleonica costituiscono per molti aspetti il fulcro dei grandi sistemi filosofici che nacquero in quegli anni convulsi e drammatici. Immanuel Kant e Georg Wilhelm Friedrich Hegel, le cui filosofie vengono poste idealmente all’inizio e alla fine di questo periodo di giuntura tra i manzoniani due secoli l’un contro l’altro armati, presentano al centro delle loro riflessioni le grandi questioni giuridiche e storiche che animarono il dibattito intellettuale del loro tempo. Infatti, in entrambi pensatori, una filosofia della storia e una filosofia del diritto si incrociano chiasmaticamente, si fondono rispettivamente scambiandosi forme e contenuti: al centro di questo movimento complesso si trova la volontà di dare ragione del proprio tempo, di pensare il presente.
Sia la Rechtslehre kantiana che la Rechtsphilosophie hegeliana nascono come risposta a un determinato clima storico e istituzionale, che vedeva contrapposte diverse concezioni del diritto positivo, in una Germania frammentata giuridicamente ancora più che politicamente. In questo contesto, tentativi come l’Allgemeines Landrecht prussiano venivano accolti con diffidenza o con speranza a seconda delle ideologie e degli interessi particolari di ogni tipo. In questo senso, il carattere polemico delle grandi costruzioni giusfilosofiche di Kant e di Hegel procede proprio dal loro forte vincolo con la situazione storica di una Germania scossa da moti rivoluzionari, da guerre di liberazione e da lotte interne ai diversi Stati.
Dal punto di vista (sis)tematico e non solamente circostanziale, le relazione tra storia e diritto sono ancora più profonde e complesse. Se la Rechtsphilosophie hegeliana sorge da una concezione dinamica, in itinere, della filosofia come figlia del proprio tempo, come il proprio tempo compreso nel pensiero (Hic Rhodus, hic saltus!), essa termina con la continuazione del diritto politico esterno nella storia universale, dove non vi è alcun prefetto superiore, e dove l’arbitro e il motore dell’intero movimento è la guerra. In modo analogo, in una delle opere nelle quali Kant esprime con maggiore chiarezza la propria filosofia della storia, Zum ewigen Frieden, viene sancito in forma giuridica che la guerra è lo strumento di pace nelle mani della natura matrigna, e questo viene fatto in una serie di articoli di un trattato di pace. Si potrebbero moltiplicare gli esempi, ma per concentrarsi su un tema particolarmente pre- sente nelle pagine di questo libro collettivo, si può fare riferimento alla proprietà. Questo concetto svolge un ruolo sistematico nelle opere kantiane e hegeliane, nelle quali, se visto da una prospettiva puramente giuridica, trova il suo posto assieme ad altre nozioni di diritto privato. Tuttavia, a testimoniare nuovamente i sottili e continui rimandi tra diritto e storia, se compresa in altra maniera la proprietà acquisisce un ruolo fondativo: secondo alcune interpretazioni, essa costituisce la chiave di volta dell’edificio del- la Rechtslehre kantiana, fondando il carattere trascendentale dell’intera dottrina del diritto. Altre letture vedono in un protoconcetto di proprietà il punto di svolta che inaugura la storicità della Phänomenologie des Geistes, cioè la creazione di una serie di rapporti di diritto privato costituirebbe il nucleo dell’interpretazione della dialettica servo-signore nel capitolo IV dell’opera del 1806. Se la storia nasce dal diritto e il diritto nasce dalla storia è perché il contesto generale in cui Kant e Hegel pensano il loro presente dopo la Rivoluzione è quello delle doglie del parto di una nuova era, inversione speculare dell’evangelico «tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto (Rm. 8, 22)».
La filosofia del diritto e la filosofia della storia acquisiscono un nuovo senso in quanto filosofie del presente: la rosa nella croce del presente, la filosofia.
Nel primo contributo del volume, Massimo Mori vuole indagare se la filosofia del diritto di Kant abbia o no un carattere autenticamente trascendentale. Contro la Unabhängigkeitsthese di Julius Ebbinghaus che nega il carattere trascendentale della Rechtslehre e in opposizione agli studi di Christian Ritter che dimostrano la presenza già negli anni Sessanta e Settanta della concezione formale del diritto kantiano ben prima della svolta trascendentale, Mori propone una fondazione trascendentale del diritto, non fondata però sulla libertà (trascendentale), come sarebbe lecito aspettarsi, bensì sul concetto di proprietà. Mori fornisce così un’originale lettura della filosofia del diritto di Kant, delineando il pensatore di Königsberg come un difensore dei diritti dei proprietari prima che di quelli dell’uomo.
Alessandro Pinzani nel suo saggio intende individuare chi sia il soggetto della Rechtslehre di Kant. La questione implica due risposte: la prima riguarda il tipo di persona a cui si riferiscono i diritti, la seconda concerne lo statuto normativo dei principi giuridici. Il soggetto del dritto kantiano è il proprietario, cioè il soggetto economicamente autonomo, il quale è l’unico a godere del diritto innato della libertà esterna e dell’essere padrone di se stesso. Tale limitazione del diritto ai proprietari, riflette, secondo Pinzani, una visione precisa dello Stato come strumento di garanzia e difesa dei diritti di proprietà, piuttosto che dei diritti umani. Inoltre, il soggetto del diritto viene ad essere l’individuo fenomenico perché il diritto regola la vita di individui che agiscono in base agli impulsi dettati dalla loro natura appetitiva e dalle loro necessità materiali e perché permette di realizzare la libertà esterna che è per definizione fenomenica. Il soggetto del diritto sembra essere così differente dall’agente morale, una differenza che crea un’asimmetria problematica tra etica e diritto di difficile soluzione.
L’articolo di Filippo Gonnelli è un’analisi sistematica della deduzione dei concetti di «possesso intelligibile» e «acquisto originario» sui quali viene costruita l’intera dottrina del diritto. Gonnelli esamina le deduzioni di questi due concetti sottolineando che la differenza consiste nelle condizioni che sono richieste per la loro prova: nel caso del «possesso intelligibile», la condizione è la libertà esterna, nel caso dell’«acquisto originario», la condizione è l’uso determinata di questa.
Il contributo di Gianluca Sadun Bordoni offre una riflessione sul rapporto tra Kant e Hegel per quanto riguarda la filosofia giuspolitica delle relazioni internazionali. In particolare, Sadun Bordoni mostra l’attualità del pensiero kantiano e hegeliano in un’epoca di «scontro di civiltà» e di riconfigurazione di un ordinamento multipolare del mondo, attraverso la re-interpretazione dei concetti di «equilibrio di potenza» e «lotta per il riconoscimento».
Roberto Morani, invece, indaga il difficile rapporto hegeliano con la filosofia del diritto kantiana nei Lineamenti di filosofia del diritto. Da una parte Hegel riconosce che la filosofia kantiana dischiude la prospettiva del Gewissen formale, tuttavia, dall’altra parte critica l’assolutizzazione kantiana dell’autonomia morale che ha portato a forme soggettivistiche che hanno negato il vero valore dell’esistenza in cui i rapporti umani hanno luogo. Tale soggettivismo però può essere evitato, secondo Morani, se si considera la «Dialettica trascendentale» della Critica della ragion pura, dove Kant fa appello all’aspetto divino presente in ciascun uomo come criterio e ideale per la valutazione della condotta umana. In tal modo si potrebbe ritenere meno paradossale l’ipotesi che in fondo Hegel sia sempre stato kantiano in ambito morale, al di là delle contrapposizione superficiali.
Il contributo di Valerio Rocco Lozano è volto ad esaminare il ruolo sistematico giocato dal diritto romano nella filosofia hegeliana. In particolare, Rocco Lozano mostra il significato storico e concettuale che Roma assume nel capitolo IV della Fenomenologia dello Spirito e come in esso siano presenti figure concettuali tratte dalla giuridicità romana, le quali stanno a fondamento del sorgere della storicità, dell’intersoggettività e della piena umanità. Paolo Giuspoli nel suo saggio ricostruisce il rapporto fra idealità e dimensione etica della vita umana in Hegel. Giuspoli mostra che se è vero che il diritto e la vita etica si esprimono nel singolare e sono immediatamente accessibili alle modalità rappresentative più elementari della conoscenza, il loro significato reale si comprende solo all’interno del sistema ideale hegeliano che esplica concettualmente. Così se è vero che lo spirito oggettivo è consegnato alla storia e la storia valuta la dimensione etica dell’esistenza umana che ha rilievo solo relativamente ai confini ristretti di un determinato Stato con un preciso ordinamento giuridico, è altrettanto vero che in Hegel è presente la necessità di concepire l’individualità attraverso un’attenta autovalutazione razionale, cioè con l’autocoscienza razionale dell’umanità. Vincenzo Vitiello contestualizza l’idea hegeliana di «stato» all’interno di una più ampia concezione della storia e della modernità. In particolare, Vitiello mostra che di fatto, al di là delle incomprensioni, la dottrina hegeliana dello stato si concilia con quella marxista. La differenza consiste piuttosto nel concepire l’universale a cui si riferisce l’individuo. Secondo Hegel l’universale è costituito dallo spirito assoluto mentre, secondo Marx, è costituito dalla natura. Vitiello nota che il superamento dell’alienazione in Hegel è sempre conservazione, mentre in Marx è sempre soppressione, cioè ciò che manca al pensiero marxista è la consapevolezza hegeliana della totalità in cui si attua il rapporto dell’uomo con gli altri uomini o esseri naturali. In questo senso per Hegel la storia giunge alla sua conclusione quando l’umanità storica consegue lo spirito assoluto, cioè l’autocoscienza della totalità, che nel mondo oggettivo si realizza nello stato. In Marx, invece, il ritorno alla natura consiste nell’eliminazione della scissione e perciò la fine della storia è intesa come redenzione.
Félix Duque affronta uno dei nodi gordiani della filosofia hegeliana, cioè l’assunto secondo il quale l’esposizione del sistema rispecchia la presentazione dello stesso spirito, con la conseguenza che, la filosofia, come ultimo momento di apparizione dello spirito, è sempre una riflessione sull’eterno che appare in ciò che è già stato. Il tentativo di Hegel è perciò secondo Duque quello di ricercare la coincidenza tra il tempo e la Ragione, tra la storia e la logica, una coincidenza che deve portare alla contemplazione di un presente razionale eterno in un tempo che però viene cancellato dalla manifestazione stessa dell’assoluto. Tale conciliazione e coincidenza però sembra difficilmente attuabile in un’epoca convulsa di rivoluzione e restaurazioni, una conciliazione che sarà destinata inevitabilmente al fallimento con il completo disancoramento tra scienza e storia fra i giovani hegeliani.
La storia prende il sopravvento e la filosofia rimane nello sgomento.

* Volume pubblicato con il contributo del Progetto di Ricerca Nazionale finanziato dal MICINN, Pensar Europa. Democracia y hegemonía en la era tecnológica. I contributi del presente volume sono stati presentati al congresso internazionale La filosofia del diritto in Germania fra Rivoluzione e Restaurazione, Verona, 19 ottobre 2010, la cui realizzazione è stata possibile grazie alle Azioni Integrate Italia- Spagna afferenti al progetto La formazione dello spirito europeo. Antichità classica e modernità.

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Pubblicazioni di Verifiche 44

Anno / Year 2011

ISBN 978-88-8828-64-40

Pagine 246

Prezzo € 25,00